La forza delle reti sociali: dagli influencer agli interconnettori di gruppi sociali
Rileggendo questo vecchio articolo, scritto oltre 5 anni fa, mi sono reso conto che il suo contenuto è ancora attualissimo e voglio quindi riproporlo qui quasi integralmente, con sole alcune riflessioni in apertura legate all’attuale dibattito sull’Influencer Marketing e sulla sua reale efficacia nel determinare la diffusione “permanente” di un’idea o di un messaggio.
In realtà i cosiddetti influencer aiutano molto l’informazione (così come un contenuto di valore o anche un prodotto) ad espandersi e circolare più velocemente, ma questo non garantisce una diffusione “radicale” e “duratura” dell’idea che si vuole promuovere e soprattutto agisce in modo molto superficiale sulle abitudini e sui comportamenti delle persone (comportamenti d’acquisto o comportamenti sociali).
Paul Adams, uno dei più importanti great-thinker del web sociale, autore di Grouped: How Small Groups of Friends Are the Key to Influence on the Social Web, questo lo aveva già intuito molti anni fa e nel suo libro concentra tutta la sua attenzione nel dimostrare che al fine di ottimizzare la diffusione di un contenuto la struttura della rete sociale è di gran lunga più importante delle caratteristiche dei singoli individui.
Siamo connessi a gruppi di persone molto diversi tra loro, ma siamo connessi con persone che ci assomigliano molto.
Una strategia di marketing efficace e vincente non può quindi concentrarsi esclusivamente sugli influencers (quelli che all’epoca in cui scrissi l’articolo venivano più spesso chiamati opinion leader), che possono però continuare a fungere da ottimi acceleratori del messaggio, ma deve andare a sollecitare e coinvolgere i singoli individui “qualsiasi”, che possano fare da ponte tra piccoli gruppi indipendenti (quali sono ad esempio i gruppi di amici). L’obbiettivo principale si sposta quindi da “chi influenza”, a “chi è più facilmente influenzabile ed attraverso quale tipologia di legame” e aggiungerei anche perchè?.
Ed alla fine, a guardare bene, sono sempre i legami forti quelli che hanno più potere di influenzare le nostre decisioni (di ogni natura).
[Inizio articolo originale del 2011].
Peregrinando tra le eterogenee letture del week-end mi sono imbattuto in un illuminante articolo sui social network, materia che tratto da anni e che occupa buona parte delle ore della mia giornata lavorativa. L’articolo, di Dario Morelli, l’ho scovato per caso sul numero 236 di Frigidaire (storica rivista di satira politica e fumetti, da quest’estate nuovamente distribuito nelle edicole cittadine).
Il testo parte con una premessa e un dubbio leggittimo. Se il fermento dei social network è realmente il motore di processi di cambiamento socio-economici, ma anche rivoluzionari, se è davvero la più potente “macchina da rivoluzioni” mai scoperta dall’uomo, tutti (rivoluzionari e reazionari) farebbero bene ad occuparsi più seriamente di sociologia dei consumi e web-marketing. Infatti le analisi più lucide in tema di funzionamento dei social network non provengono da accademici o da scienziati politici, ma proprio da chi passa le proprie giornate su Facebook per capire come vendere ai potenziali consumatori nuovi pacchetti vacanza più o meno assurdi.
Ma veniamo agli aspetti a mio avviso più interessanti. Da qualche mese Paul Adams, Senior User Experience Researcher di Google, sta lavorando a una nuova teoria della comunicazione commerciale sui social network che rovescia completamente l’approccio classico, quello per cui le persone più influenti (gli opinion leader) riescono a condizionare le preferenze di consumo (ma anche le idee politiche) delle altre persone.
Secondo Adams le cose però non stanno così e suggerisce di concentrare la comunicazione su “piccoli gruppi interconnessi di amici stretti”, perchè l’utente medio da più facilmente retta alla persone che conosce piuttosto che a leader lontani (seppur popolari). A questa apparente banalità, che ha tuttavia importanti conseguenze, Adams arriva attraverso tre assunti principali:
- il web tende oggi a conformarsi alla vita reale e quindi questo lo sta portando a riorganizzarsi attorno alle persone vere (e non solo più avatar). Ciò comporta che ciascuno di noi, anche in rete, si fidi di più delle persone che conosce che delle comunicazioni provenienti dall’esterno.
- le più recenti ricerche neuroscientifiche dimostrano che le vite delle persone si svolgono all’interno di reti sociali (networks) che ne influenzano ogni aspetto. Sono le reti sociali a suggerirci cosa fare, dove andare, quali marche e prodotti acquistare. Ma potrebbe essere esteso anche all’area politica, guidandoci nella scelta delle idee in cui credere.
- per la prima volta nella storia l’uomo detiene gli strumenti tecnici per “mappare” le interazioni sociali, registrare e analizzare in tempo reale come gli esseri umani interagiscono tra di loro. E questo ci consente di capire le dinamiche della comunicazione in una maniera totalmente inedita.
Nel suo ultimo libro, dal titolo Grouped, (in uscita a novembre) Adams riporterà alcune interessanti conclusioni che possiamo così sintetizzare: le persone generalmente tendono ad avere non più di cinque diversi gruppi di amici di circa diegi membri ciascuno, molti di questi, per una ragione strettamente numerica, finiscono per appartenere a più gruppi contemporaneamente. Sono questi individui quindi i personaggi chiave della società, i più interconnessi, i più fidati, i veri opinion leader.
Dove sta allora la differenza rispetto all’approccio classico? La differenza sta nel fatto che questi personaggi non hanno niente di speciale. Non hanno necessariamente carisma né personalità eccezionali, eppure secondo Adams questi sono i pilastri della società dell’informazione, le vere leve del potere comunicativo che le imprese devono imparare a manovrare per poter influenzare le masse di utenti che vivono in rete.
Non è certo una novità che per influenzare le masse si debba agire sulla gente comune. La novità è che “comune” va inteso in senso di “shared”, di persone che interconnettono gruppi sociali altrimenti non comunicanti.
Chi si occupa di marketing questi aspetti li conosce bene, ma i rivoluzionari del terzo millennio sapranno anch’essi fare tesoro di queste importanti teorie di un esperto e guru della comunicazione pubblicitaria come Paul Adams?
Non so dire se è giusto o sbagliato, ma continuo a trovarmi a mio agio proprio in questa area di interconnessione tra il marketing e la rivoluzione 🙂
Quest’ultima frase la trova oggi forse un po’ naif, però ancora profonfdamente Bella, anche se devo riconoscere che quelli erano per me altri tempi e lo spirito “rivoluzionario” molto più presente e concretamente attuabile 😉
Lascio però la palla, come è giusto che sia, ai Millennials e alle loro nuove possibili, forse per me impensabili e soprattutto inesplorate possibilità dell’antagonismo rivoluzionario (consapevole e capace di utilizzare gli strumenti dell’era digitale).
Nota a margine: in realtà questo articolo è anche un piccolo esperimento SEO per capire come dare nuova vita a contenuti d’archivio ancora validi… vediamo come va! 🙂
Ovviamente il dibattito è ancora, e più che mai, aperto. Fammi sapere nei commenti cosa ne pensi, lasciami il tuo punto di vista e poi… dammi una mano a farlo circolare sui Social!
Come in ogni aspetto della vita, il singolo ‘potente’ non sarà mai tanto efficace senza un intorno di singoli individui raggruppati. Singoli individui raggruppati che, magari sensibili e curiosi, decidono di tenere in considerazione una nuova opinione forte e farla circolare all’interno delle loro vite in modo concreto, creando così un terreno fertile per il giusto passaparola. Molto sinteticamente: l’opinione leader dovrebbe fare da ponte tra passato e futuro in modo forte e coraggioso. Le reti di piccoli gruppi di individui sensibili da ponte tra il concreto del passato e il concreto del presente-futuro. Senza queste mediazioni e accortezze psico-sociali si rischia di costruire strategie fatte di sabbia…
Grazie Marcella per la bella e utile riflessione di approfondimento. Sono in buona parte d’accordo, ma vorrei anche evidenziare che è sempre più difficile creare dei gruppi eterogenei abbastanza ampi che condividono un’idea forte, un valore profondo, senza che nel breve termine comincino a crearsi spaccature e focolai di “guerriglia interna” 🙂 Ecco perchè anche secondo me un influecer può agire sulla portata (un po’ come fatto dall’es. a tutti noto dei 5 stelle), ma senza degli “interconnettori” che facciano da collante tra i piccoli gruppi di persone, l’idea non sedimenta.
L’altro limite, che a mio avviso è da leggere tra le righe, è che intorno ad un opinion leader si aggregano persone spesso “omogenee” e che rendono via via che cresce la portata ancora più “chiuso” il gruppo, quindi cresce numericamente e si rafforza sulla base di una auto-selezione che esclude però l’eterogeneità che invece andrebbe ricercata e promossa tramite appunto degli individui che fungano da “interconnettori” tra gruppi (e visioni del mondo) eterogenei e magari anche tra classi sociali (ecco adesso mi darete del comunista :-). Insomma che riescano a fare da ponte, contaminando le istanze troppo moolitiche, adattandole e quindi anche validandole per una comunità molto più estesa e quindi dirompente (che allora forse può prendere il nome di rivoluzione 😉
Grazie a te, Armando, per avermi lasciato spazio. Concordo pienamente in quanto affermi. Infatti laddove parlo di ‘concreto’, intendo proprio affermare che nella realtà questi ‘ponti’ per la diffusione di nuovi opinioni forti, per la diffusione di nuove idee e tendenze, vengano un po’ a mancare. Come dici giustamente tu, il rischio di creazione di gruppi molto chiusi è alto.
Mi piace, invece, pensare con un po’ di ottimismo, che magari il web possa abbattere certe barriere e sensibilizzare quella nicchia di follower più aperti mentalmente e più propensi alla vera creazione di una rete sociale eterogenea che non sia solo virtuale.
Condividere ed apprezzare, correre il rischio di cambiare per il meglio pur con accortezza, comunicare…sarebbero tutti ingredienti per un ottimo equilibrio tra opinion leader e follower, per strategie e per l’innovazione
Si Marcella, anche io sono ottimisticamente convinto che il web possa e stia contribuendo molto nella sperimentazione di nuove forme di socialità più trasversali e consapevoli. E forse si potrebbe fare anche di più nel momento in cui le persone, che sono poi quelle che costituiscono il web, cominceranno ad applicare più naturalmente alla vita reale dinamiche e modalità utilizzate comunemente nelle relazioni e interazioni “virtuali”. Oddioooo… ora mi sto perdendo anche io tra tutte queste parole e ragionamenti un po’ troppo arzigogolati. Grazie per la stimolante riflessione e buona notte! 🙂