Festival del Cinema di Venezia 2009: l’Italia vista dalla luna.
Mi concedo questo sconfinamento, solo apparente, nell’universo del cinema, dell’arte contemporanea e della politica per condividere con voi alcune suggestioni e riflessioni che mi hanno accompagnato durante il viaggio di ritorno da Venezia.
Contesto e location: Biennale Arte e Festival del Cinema di Venezia.
Partiamo dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, giunta ormai alla sua 66° edizione.
Dalla visione di alcuni film e dall’aria che si respirava tra i tavolini del Lido, siamo costretti a prendere atto di come noi e il nostro paese siamo visti all’estero. Potremo forse andare avanti con querele e censure per chissà quanti anni ancora. Ma i fatti sono lì, a nostra disposizione e sarebbe colpevole ignorarli del tutto. E’ quindi importante che sia (e mi auguro continui ad esserlo) proprio l’arte a mostrarcelo, il cinema in questo specifico caso.
La constatazione più disarmante è che l’Italia di oggi, vista da fuori, mette i brividi. Anche vista da dentro, per carità, nonostante la presbiopia sia un male diffuso fra noi italiani. Motivo in più per fermarsi finalmente a riflettere nonostante le solite polemiche. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di quest’anno ha presentato numerose pellicole prodotte all’estero che mostrano un’Italia davvero inquietante.
Un’Italia che purtroppo sembra che noi presbiti non riusciamo più a vedere. Videocracy è una produzione svedese, Francesca un film rumeno e Honeymoons una coproduzione serbo-albanese.
Tutti questi film ci chiedono più o meno direttamente di spostare più lontano dal nostro sguardo il foglio della realtà e cercare di vedere da una prospettiva diversa che cosa stiamo combinando. E ancora una volta è il cinema ad arrivare prima, a mettere con puntualità e precisione il dito sulla piaga, a invitare tutti (ma proprio tutti) a fermarsi e riflettere attentamente, a dirci più o meno arrabbiati e confusi che stiamo andando troppo in là, che siamo tutti un po’ responsabili di questa epoca sgangherata nei valori, nei sentimenti e nella capacità di reagire.
Un cinema quindi che non accusa nè tanto meno condanna, ma che fotografa una realtà, un punto di vista esterno. Ce ne offre tutti gli elementi resi distorti da un difetto di vista nazionale e ce li mostra limpidi anche se da lontano.
Questo è, a mio avviso, un cinema che non vuole nemmeno fornire ricette, ma che ci suggerisce semplicemente che correggendo il punto di vista, forse la deriva che sembra ineluttabile può essere fermata. Che siamo ancora in tempo a cambiare rotta.